Ci vorrebbe una stanza museale adibita a Diorama con attorno, proiettate alle pareti, le forme del Vescovo di Pierpaolo Consigli, in tutte le prospettive e su molteplici sfondi d’ambiente. E ciò per avere, all’impronta, la visione molteplice e completa di questo personaggio così ben interpretato dal talento scultorio dell’artista padovano.
Essere immersi nel fulcro ispirativo dell’opera che, programmaticamente, nulla ha di ieratico, farsi naufraghi nella sua anima contorta, è la via giusta per capire la capacità empatica dell’artefice. Straniati, quindi, dallo spettacolo turbativo di quel volto, dal carosello delle sue fattezze, si potrà trovare la chiave d’accesso a molte “astrusità” comportamentali di una classe sociale piuttosto invasiva del nostro quotidiano.
Per tale intuizione mi sono creata uno spazio da metaverso (il mio speciale Diorama) – come faccio sempre, quando l’entusiasmo prevale – in cui sistemarmi generando, con una sorta di acume psicosensoriale, le immagini stesse e le loro conseguenze emozionali. Un incubo, il risultato.
Il sorriso agro con gli angoli delle labbra all’ingiù per dimostrare il disprezzo più repulsivo, gli occhi serrati a non vedere, le narici – quasi froge animalesche – dilatate nella ricerca olfattiva per stornare un semplice avvicinamento interlocutorio, un pericolo supposto o un’eventuale aggressione, tutto, proprio tutto si fa simbolico. Racconta, infatti, la determinazione, collaudata da secoli di imperio, a evitare, ignorare, cancellare. Perché il risultato può non essere produttivo. A fini… istituzionali, religiosi persino. O personali.
Una formazione d’indirizzo, questa, che lo scultore sa rappresentare grazie a una naturale diffidenza anticlericale dagli illustri antecedenti nel percorso della tradizione artistica nostrana. Tradizione che si è sempre proposta di denunciare lo stereotipo di un eccesso di rispetto, spesso non validato, verso la “categoria”.
Il Vescovo di Pierpaolo Consigli ne è la precisa rappresentazione. Ironia e Satira vi si mescolano con una spontaneità che ha dell’incredibile, rendendolo emblema di sindrome egotica da prevaricazione. Ben esplicitata, peraltro, nella formula affiorante sulle labbra distorte, e di cui si coglie il sibilo sottile: Io sono il potere conclamato da millenni. Per decreto divino. Sindrome sedimentatasi ormai, dopo secoli di ammaestramento, nella malattia cronica di cui soffrono i ministri del clero.
Dante Alighieri (immagino con un pizzico di divertimento) lo renderebbe un’icona del suo XXVII canto del Paradiso, dove ai versi. 22 – 26 fa esclamare a San Pietro, riferendosi però al papa:
Quelli ch’usurpa in terra il luogo mio,
il luogo mio, il luogo mio che vaca
ne la presenza del Figliuol di Dio
fatt’ ha del cimitero mio cloaca
del sangue e de la puzza;
Un’invettiva, questa, davvero efficace per la triplice iterazione dei termini “il luogo mio” che vengono rimbalzati nell’Empireo affocandolo di sdegno.
Tre, dico. Tre. Il numero mistico della perfezione nella triade sacra: Padre, Figlio e Spirito Santo. Tre per esorcizzare la maledizione di chi nella Chiesa traligna, dimenticando l’alto ufficio cui è preposto, calpestando il Pan degli Angeli, ovvero la delicata questione teologica affidatagli.
Rivolta ai Vicari di Cristo. Certo.
E priva di scadenza.
Perché la corruzione ha espansione spazio-temporale infinita all’uomo e alle sue cose.
Rivolta, di conseguenza, pure ai Vescovi in quanto ministri della Chiesa e detentori di potere. Essi, infatti, si fanno titolari della legittimazione a un’invincibile, plenipotenziaria autorità la cui metafora si evince dalla smorfia a occhi chiusi della figura qui commentata.
Una legittimazione del tutto soggettiva e unilaterale, avverte l’artista mediante i tratti fisionomici, per certi versi caricaturali, sbozzati dal suo scalpello irriverente.
Se, poi, ci soffermiamo sulla mitra di vetro rosso ruggine, la cui fattura ha richiesto un grande impegno di studio progettuale e d’ingegno artigiano, notiamo che si appoggia sulla testa del Vescovo in modo naturale, affermando un privilegio collaudato – diremmo – da numerose investiture e autoinvestiture nel corso del tempo. Spesso non meritate né meritorie.
Usucapione? Può darsi.
Narcisismo esasperato? Probabile.
Un diritto conclamato sempre, e riconosciuto, ma mai sequenziato nelle sue caratteristiche di DNA reso anomalo da storture ripetute.
Questo ci comunica lo scultore con il suo Vescovo, rendendolo un Manifesto in sé del suo dissenso. Fatto di marmo – simbolo di solida durata – e Vetro che è materiale talmente fragile da rischiare la rottura anche per un soffio di brezza primaverile, è prova materica di contenuti ideologici.
L’artista, pertanto, diventa il banditore di una realtà controversa e, purtroppo, molto comune. Da eradicare nei suoi aspetti devianti, così come recita il messaggio subliminale e liberatorio sotteso all’opera.
Lode, dunque, alla Verità d’Autore.
Irene Navarra, Artemisia Eventi Arte, Pierpaolo Consigli, 30 Aprile – 1 Maggio 2023